Su un treno italiano

Come si era potuti arrivare a tanto? pensavo mentre guardavo la ragazza. Sui trent’anni, rossa di capelli & ben piazzata, stava telefonando. Lei un controllore di biglietti su un treno regionale della tratta Roma-Firenze: telefonava ma nessuno rispondeva. Io in uno scompartimento fra i tanti, fuori dal finestrino una stazione fra le tante, asse_roma_berlino_castiglion_del_lago.jpgun altro villaggio Potёmkim – con scritte mai cancellate di un certo Asse Roma-Berlino. Roba vecchia. Nei sedili di fronte a me, tre bei ragazzi africani. Vestiti come mille altri adolescenti Italiani – uno di loro con cellulare LG in mano, tutti con scarpe sportive di ultima generazione. Tre ragazzi Italiani di colore come tanti. La ragazza aveva intimato loro di esibire il biglietto, una, due, tre volte. Loro non si erano nemmeno voltati. Niente. Forse non capivano l’Italiano – in fondo parlavano fra loro una lingua che non capivo. Forse in Inglese avrebbero potuto capirla?
La ragazza ora ha preso il telefono – chiama il capotreno. Io intervengo, in Inglese domando loro se la ragione dell’esibita arrogante indifferenza alla di lei richiesta sia che, forse, non capiscono l’ Italiano. “Non abbiamo biglietti – mi dicono in perfetto Inglese, non abbiamo documenti, non abbiamo nulla”.
La ragazza ha chiamato il capotreno – che sopraggiunge. Un uomo spento. Li invita ad alzarsi. I tre, con postura arrogante, si fanno verso la porta. La stazione e’ arrivata. Scendono, mi salutano in Inglese, ridono e se ne vanno, forse salgono sul treno successivo.
“Non si puo’ fare niente” mi dicono i due ferrovieri, visibilmente umiliati. O forse arresi a uno stato di cose che percepiscono ingiusto ma immodificabile. Mi colpisce la ragazza a cui, ancor giovane, di certo non e’ sfuggito che e’ stata lei a perdere. La dignita’ del suo lavoro, dell’uniforme che indossa e’ stata vilipesa. “Non possiamo fare niente, non hanno documenti, non si sa dove vivano, se prendiamo loro qualcosa andiamo contro alla legge Italiana”.
Allora mi torna in mente un passo de “La Chimera” di Sebastiano Vassalli. Dove si parla delle leggi che nell’ Italia spagnola del 1600 regolavano la coltivazione del riso intorno alle mura della citta’. Le leggi prevedevano che non si potesse coltivare a meno di una distanza minima dalle mura – ma a non piu’ di una massima. Le due misure pero’ erano inconsistenti, ergo in via di legge riso non si poteva coltivare; tutti pero’ coltivavano, creando spazio all’arbitrio di chi quella legge volesse far rispettare. Una legge che creava incentivi perversi per i sudditi dell’Italia spagnola del 1600.
In quel momento ho capito che avevo perso anche io – non solo la ragazza dei biglietti. Le norme che regolano la convivenza civile nel paese Italia, anno domini 2017, non sono meno inconsistenti di quelle descritte da Vassalli. Anche quei tre ragazzi avevano perso, non era questo il paese civile che stavano cercando quando avevano lasciato il continente nero.
L’illegalita’ alligna cosi’, nell’Italia di oggi, fra l’umiliazione di alcuni e l’indifferenza di tutti.



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